Aldifuori...

Colei che nessuno arruola e che è guidata soltanto da una natura impulsiva, la passionale complessa,
la fuorilegge, la fuori da ogni scuola, l'isolata ricercatrice dell'aldilà...

sabato 14 gennaio 2012

«Caserio fa il fornaio, non la spia»


Sante Geronimo Caserio nacque l'8 settembre 1873 in una famiglia contadina, di cui il padre trovò la morte in manicomio. A dieci anni lasciò la famiglia trasferendosi a Milano e trovando impiego presso un fornaio. In quel periodo conobbe gli ambienti anarchici e le varie personalità che ne facevano parte. Conobbe, d'altro canto, le dure condizioni alle quali erano sottoposti i lavoratori e si avvicinò all'ideale anarchico. Non molto tempo dopo fondò anche un circolo denominato "A Pè" ("A Piedi"), nel senso di senza soldi. Durante una manifestazione venne identificato e schedato e perciò costretto a fuggire prima in Svizzera, poi in Francia.Il 24 giugno uccise il presidente Carnot durante un'apparizione pubblica a Lione colpendolo al petto con un coltello dal manico rosso e nero (i colori che simboleggiano l'anarchismo). Dopo l'atto corse attorno alla carrozza del moribondo gridando «Viva l'anarchia!».
Di fronte al tribunale che lo condannò alla ghigliottina tra le altre cose disse:
«Dunque, se i governi impiegano contro di noi i fucili, le catene, le prigioni, dobbiamo noi anarchici, che difendiamo la nostra vita, restare rinchiusi in casa nostra? No. Al contrario noi rispondiamo ai governi con la dinamite, la bomba, lo stile, il pugnale. In una parola, dobbiamo fare il nostro possibile per distruggere la borghesia e i governi. Voi che siete i rappresentanti della società borghese, se volete la mia testa, prendetela».
Caserio al patibolo
Al processo, infatti, non tentò mai di negare il proprio gesto, nè di chiedere la pietà del giudice. Gli fu offerta la possibilità di ottenere l'infermità mentale e in cambio avrebbe dovuto fare i nomi di alcuni compagni, ma Caserio rifiutò sprezzatamente: «Caserio fa il fornaio, non la spia». In cella, mentre attendeva la condanna a morte, gli fu anche mandato il parroco di Motta Visconti per l'estrema unzione, ma egli rifiutò di confessarsi e cacciò il prete. Sul patibolo, infine, un attimo prima di morire gridò rivolto alla folla: «Forza, compagni! Viva l'anarchia!».


In Italia nel frattempo, il direttore de Il Telegrafo che già da tempo pubblicava articoli esplicitamente contro socialisti e anarchici, non mancò di pubblicarne anche uno in cui muoveva la polemica contro l'attentato a Carnot. Aveva già ricevuto diverse lettere di minaccia e il 1° luglio di quell'anno fu ucciso dall'anarchico Oreste Lucchesi, condannato poi a 30 anni di carcere.
Dopo la condanna di Sante Caserio vi furono diversi atti di violenza e intolleranza da parte dei francesi contro i lavoratori italiani, compatrioti dell'assassino del loro presidente. Un anarchico fu arrestato per aver gridato la propria simpatia verso Caserio in un locale pubblico e un carcerato venne percosso violentemente per lo stesso motivo. Il gesto dell'anarchico italiano aveva risvegliato qualcosa nel cuore dei ribelli oppressi di Francia.


Il contesto: l'anarchismo insurrezionalista

Era quello il periodo in cui gli atti anarchici che rientravano nella propaganda col fatto stavano dilagando in tutta Europa e anche negli Stati Uniti. Numerosi furono i casi in cui nel mirino vi erano proprio i luoghi del potere e chi lo incarnava: l’atto di Sante non fu il primo nell’ultimo, ma rientrava in un contesto ben preciso; si incastrava esattamente nel complicato meccanismo della reazione all’oppressione, e come un meccanismo è costituito da più ingranaggi, Sante non era che uno di essi.

Nel 1886 Charles Gallo, al grido di «Viva la rivoluzione sociale!», scagliò una bottiglia di acido cianidrico nella Borsa di Parigi, senza però provocare morti («Gli agenti di cambio era andati via. Ero tuttavia certo che ci fossero aggiotatori o imbroglioni che speculano sulla miseria del popolo. Ho lanciato il flacone d'acido cianidrico, malauguratamente non ho ucciso nessuno»).
Nel 1892 Ravachol, per vendicare la dura repressione contro gli anarchici (condannati a lunghi periodi di detenzione e ai lavori forzati a vita) mise una bomba in casa del giudice e una in casa del procuratore. Poco tempo dopo compì un attentato alla caserma di Parigi, che non provocò vittime ma grossi danni.
Nel 1893 Auguste Vaillant fece esplodere un ordigno riempito di chiodi nella Camera dei Deputati francese ferendo diversi deputati e urlando «Morte alla borghesia! Lunga vita all’anarchia!». Per questo fu condannato a morte.
Emile Henry compì due atti dinamitardi: uno nel 1982, l’altro nel 1894. Il secondo fu per vendicare la condanna a morte di Vaillant e ferì una ventina di persone. Venne arrestato e durante il processo non tentò mai di discolparsi, né tantomeno di giustificarsi, anzi dimostrò convinzione ed orgoglio: «Nella guerra da noi dichiarata alla borghesia non chiediamo pietà. Diamo la morte e sappiamo subirla. Per questo attendo con indifferenza il vostro verdetto. So che la mia testa non sarà l'ultima che taglierete. Aggiungerete altri morti alla lista sanguinosa dei nostri morti. Impiccati a Chicago, decapitati in Germania, garrotati a Xerès, fucilati a Barcellona, ghigliottinati a Montbrison e a Parigi, i nostri morti sono numerosi; ma voi non siete riusciti a distruggere l'anarchia. Le sue radici sono profonde. Essa è nata nel seno di una società putrefatta e vicina alla sua fine; essa è una violenta reazione all'ordine stabilito; essa rappresenta le aspirazione di uguaglianza e libertà che distruggono l'attuale autoritarismo. Essa è dovunque. Questo la rende indomabile, per questo finirà coll'uccidervi».
Nel 1898 Luigi Luccheni uccise l’imperatrice Elisabetta d’Austria. Fu condannato all’ergastolo e rispose al commissario che lo interrogava sul perchè di quell'atto «Perché sono anarchico. Perché sono povero. Perché amo gli operai e voglio la morte dei ricchi».
Nel 1900 Gaetano Bresci assassinò il re d’Italia Umberto I. Anche lui non sfuggì alla “giustizia” che lo condannò al carcere a vita (di fatto non scontò mai questa pena perché venne ucciso in carcere e in fatto passare l’omicidio per suicidio). In aula motivò così il suo gesto «I fatti di Milano, dove si adoperò il cannone, mi fecero piangere e pensai alla vendetta. Pensai al re perché oltre a firmare i decreti premiava gli scellerati che avevano compiuto le stragi.»
Nel 1901 Leon Czolgosz uccise il presidente americano McKinley. Venne subito fermato, torturato in carcere e poi processato. Affermò di avere colpito nella persona del presidente «un nemico della gente buona, i buoni lavoratori. Non sento alcun rimorso per il mio crimine […] Credo che non dovremmo avere dirigenti. Ucciderli è giusto». Fu subito decisa la condanna a morte. Dopo la sua morte il suo corpo fu sciolto nell’acido, nel misero tentativo di estirpare il virus dell’anarchia. Emma Goldman fu una delle poche a difenderlo: «Leon Czolgosz, ed altri uomini del suo tipo, lontano dall'essere creature depravate e dai bassi istinti, sono in realtà esseri super-sensibili incapaci di resistere alle grandi pressioni sociali. Ciò porta loro a reagire in forme violente, anche sacrificando la propria vite, perché non possono essere testimoni pacifici della miseria e della sofferenza degli esseri umani. Per tali atti si deve incolpare i responsabili delle ingiustizie e l'umanità che domina il mondo».


Il racconto di Sante

Avevano appena detto che erano le 9 e 5, tutti cominciavano ad agitarsi. Non era passata che una sola carrozza chiusa, in procinto di giungere dall’Opéra alla Borsa per ripartire al più presto in senso opposto. Poi abbiamo ascoltato la Marsigliese. All’improvviso son passati veloci, per assicurare la libertà del passaggio su via della Repubblica, quattro cavalieri della guardia repubblicana. Poi sono arrivati a piccoli passi dei militari a cavallo in plotoni di cinque fila o poco meno. Dopo la prima truppa un cavaliere da solo aveva la sua trombetta senza suonarla. Poi un secondo plotone come il primo. Infine il calesse scoperto del presidente della Repubblica, di cui i cavalli avevano la testa a circa tre passi dalla parte posteriore dell’ultimo plotone.
Nel momento in cui gli ultimi cavalieri della scorta mi sono passati di fronte, ho aperto la mia giacca. Il pugnale era, con la punta in alto, in un’unica tasca, dal lato destro, all’interno sul petto. L’ho afferrato con la mano sinistra e in un solo movimento, spingendo i due giovani fermi davanti a me, riprendendo il manico con la mano destra e facendo scivolare con la sinistra la guaina che era caduta per terra, mi sono diretto vivamente ma senza scattare , dritto verso il presidente, seguendo una traiettoria un poco obliqua, in senso contrario all’andamento della vettura.
Sono saltato sul marciapiede ed ho appoggiato la mano sinistra sul bordo dell’auto, e in un solo colpo ho portato leggermente dall’alto verso il basso, col palmo della mano indietro, le dita serrate al pugnale fino alla guardia, nel petto del presidente. Ho lasciato il pugnale nella ferita ed era rimasto attaccato al manico un pezzo di carta di giornale.
Sferrando il colpo, ho gridato, forte o meno, non lo saprei dire: “Viva la Rivoluzione!”. A colpo assestato, mi sono inizialmente rigettato all’indietro; poi vedendo che non mi si fermava subito e che nessuno sembrava aver compreso cosa avessi fatto, mi sono messo a correre avanti alla carrozza e passando accanto ai cavalli del presidente, ho gridato “Viva l’anarchia!”, grido che i guardiani della pace hanno ben udito. Poi sono passato davanti ai cavalli del presidente, e dietro la scorta, dirigendomi sulla sinistra di traverso per cercare di passare attraverso la folla e sparire. Delle donne e degli uomini hanno rifiutato di lasciarmi passare, poi hanno gridato dietro: “Fermatelo!”. Un gendarme, di nome Nicolas Pietri, mi ha messo la mano al colletto e sono stato subito fermato da una ventina d’altri.



L’interrogatorio 

«Vostro padre fu malato?». 
«No signore.». 
«Voi appartenete ad un'onesta famiglia. Vostra madre, giudicando dalle sue lettere, è una donna di sentimenti elevati. Frequentavate la scuola, ma spesso mancavate.».
Sante sorride: «Se avessi avuto maggiore istruzione sarebbe stato meglio.». 
«A dieci anni eravate garzone di calzolaio, facevate da angelo nelle processioni.». 
«I ragazzi non sanno quello che fanno.». 
«Voi avete atteso il Presidente per assassinarlo?». 
«Sissignore.». 
«Vediamo come siete arrivato a questo punto. Fu dopo il processo agli anarchici a Roma nel 1891 che siete diventato anarchico?».
«No.». 
«Avete frequentato le conferenze dell'avvocato Gori?». 
«Quando Gori venne a Milano io ero già anarchico.». 
«Ma le seguiste, le conferenze?». 
«Ci andavano tutti ed andai anch'io.». 
«La vostra famiglia fece il possibile per togliervi dall'anarchia?». 
«Voglio bene alla mia famiglia ma non può sottomettermi al suo volere. La mia famiglia è l'umanità.». 
«A Milano facevate parte del gruppo cui apparteneva Ambrogio Mammoli?». 
«Anche se lo conoscessi non lo direi, non sono un agente di polizia.».
«Nel 1892 foste arrestato mentre facevate propaganda anarchica fra i soldati in un quartiere detto di Porta Vittoria?». 
«Sissignore.». 
«Nel 1893 foste disertore?». 
«La mia patria è il mondo intero.».
«Voi sapevate che il giorno in cui avete ucciso il Presidente era l'anniversario della battaglia di Solferino, nella quale i francesi sparsero il loro sangue in aiuto degli italiani?».
«Il 24 giugno so che è la festa di S. Giovanni, patrono del mio paese. E poi tutte le guerre sono guerre civili.». 
«L'accusa sostiene che voi abbiate compiuto il delitto premeditatamente.». 
«È vero.».
Pugnale usato da Sante
«Voi avete ucciso il Presidente perché siete anarchico?». 
«Sì.». 
«E come tale odiate tutti i capi di Stato?». 
«Sì.». 
«Una volta diceste pure che sareste andato in Italia ad uccidere il Re e il Papa.». 
Sante sorride: «Il Re e il Papa non si possono ammazzare insieme, perché non sono mai insieme.». 
«Un soldato vi intese dire in febbraio che sareste andato a Lione ad uccidere Carnot».
«Faccio rilevare che nel mese di febbraio non potevo dire che sarei andato a Lione per suicidare (testuale) Carnot, perché allora non si poteva sapere che il Presidente vi sarebbe andato.». 
«Se la verità intera non si può sapere è pero certo che dopo il rifiuto della grazia a Vaillant, Carnot ricevette lettere di minaccia dagli anarchici; che ne dite? Voi dovete avere dei capi.». 
«Nessuno mi comandò, eseguii tutto da me solo.». 
«Con quale diritto avete ucciso il Presidente, il diritto naturale lo proibisce, questo lo sapete?». 
«Ho ucciso quell'uomo perché era un simbolo, il responsabile di quanto era accaduto giusto l'anno prima, il 24 giugno 1893 ad Aigues Mortes alle saline vicino a Nimes.».
«E l'ha ritenuto responsabile anche di non aver concesso la grazia a Vaillant»?. 
«Assolvere tutti senza nemmeno una condanna è stata un'infamia, è come se i miei connazionali fossero stati uccisi una seconda volta. Vaillant è un'altra questione.». 
«Quando i capi di uno Stato condannano non è per capriccio ma vi fu prima un giudizio, voi invece vi siete fatto accusatore, giudice e carnefice nello stesso tempo.».
A questo punto Caserio stenta a capire e l'interprete gli fa capire ancora meno. Fra il pubblico si sente qualche moto d'ilarità. 
Quando alla fine comprende: «Ora stiamo parlando del fatto e non voglio dire perché mi sono vendicato. E i governi che fanno uccidere milioni di individui?». 
«Avete vent'anni, siete ben giovane per giudicare la società.».
«Se sono giovane per giudicare la società, lo sono anche i militari che vanno a farsi ammazzare. Sono dunque degli imbecilli?». 
«Ma i militari difendono la loro patria.». 
«Difendono invece gli interessi degli industriali e dei banchieri, quindi sono degli imbecilli.».


La ballata di Sante Caserio – Pietro Gori (1984)

Lavoratori a voi diretto è il canto
di questa mia canzon che sa di pianto
e che ricorda un baldo giovin forte
che per amor di voi sfidò la morte.
A te, Caserio, ardea nella pupilla
de le vendette umane la scintilla,
ed alla plebe che lavora e geme
donasti ogni tuo affetto, ogni tua speme.

Eri nello splendore della vita,
e non vedesti che notte infinita;
la notte dei dolori e della fame,
che incombe sull'immenso uman carname.
E ti levasti in atto di dolore,
d'ignoti strazi altero vendicatore;
e t'avventasti, tu si buono e mite,
a scuoter l'alme schiave ed avvilite.

Tremarono i potenti all'atto fiero,
e nuove insidie tesero al pensiero;
e il popolo cui l'anima donasti
non ti comprese, e pur tu non piegasti.
E i tuoi vent'anni, una feral mattina
gettasti al mondo dalla ghigliottina,
al mondo vil la tua grand'alma pia,
alto gridando: «Viva l'Anarchia!».

Ma il dì s'appressa, o bel ghigliottinato,
che il tuo nome verrà purificato,
quando sacre saranno le vite umane
e diritto d'ognun la scienza e il pane.
Dormi, Caserio, entro la fredda terra
donde ruggire udrai la final guerra,
la gran battaglia contro gli oppressori
la pugna tra sfruttati e sfruttatori.

Voi che la vita e l'avvenir fatale
ofriste su l'altar dell'ideale
o falangi di morti sul lavoro,
vittime de l'altrui ozio e dell'oro,
martiri ignoti o sciera benedetta,
 già spunta il giorno della gran vendetta,
de la giustizia già si leva il sole;
il popolo tiranni più non vuole.

Link di approfondimento:


Estratti da In difesa di Sante Caserio, di Pietro Gori

 Negli occhi azzurri, profondi e sognatori di fanciullo, e nel sembiante mansueto che rivelava l'interna bontà del suo cuore anche mentre saliva il patibolo, poteva leggersi l'anelito, l'ansiosa aspirazione ad un mondo ideale, in cui gli uomini amandosi vivessero in pace.
[…]
In Milano si occupò come panettiere nel forno Tre Marie e vi lavorò con zelo e infaticabilmente; e quivi si trovò più direttamente innanzi lo spaventoso sfruttamento legale del lavoro da parte dei parassiti del capitalismo; e constatò le ingiustizie sociali e la violenza d'una classe che non produce nulla, contro l'altra che col suo sangue e sudore crea la ricchezza de' suoi padroni e solo, come unica ricompensa delle sue fatiche, raccoglie miseria e disprezzo. Fu per questo che Sante Caserio divenne anarchico.
Affettuoso e sensibile di cuore, il giovane operaio era predisposto a piegare verso la causa degli oppressi e degli sfruttati, – alla cui classe del resto apparteneva, – per lottare contro un sistema politico-sociale basato sul privilegio e la forza. E quando il vessillo del socialismo anarchico passò davanti a lui, – spinto dallo spettacolo degli orrori della cosidetta civiltà attuale, – decise seguirlo.
[…]
Egli non credeva più da molto tempo nel paradiso celeste; ma con la stessa fede ed entusiasmo credeva però alla possibilità dell'uguaglianza per tutti, che ponesse fine al regno della sventura, della prepotenza
e del furto.
Ormai non c'era più in lui quella mistica fede che lo aveva fatto credere in un mondo pieno di delizie, popolato da santi e da arcangeli... C'era invece l'ardente ed attiva fede, per cui vedeva nella vita una missione da compiersi durante la vita stessa. E questa fede, questa missione, questo desiderio intenso miravano alla conquista del diritto universale, del benessere e della libertà per tutti non nel cielo, ma in questa terra fertile da noi abitata.
[…]
A questo glorioso ideale, oggetto di scherno e di odio pei nostri nemici, ma che ai suoi apostoli reca la tranquillità e la calma nelle più tetre prigioni e fin sui gradini del patibolo, Sante Caserio si consacrò
tutto quanto. Da allora visse soltanto per la causa e per essa morì.
La vita brevissima di questo, giovane, – aveva appena 21 anni quando fu ghigliottinato – è stata ripetutamente esaminata a traverso le lenti del dispetto e dell'odio, prima dalle polizie italiane e francese unite insieme, poi da una caterva di impostori bugiardi, i giornalisti borghesi, pagati dai conservatori del cosidetto «ordine» pubblico.
Ciò nonostante, questi disgraziati non potettero non giungere a una conclusione, all'assicurazione cioè che Sante Caserio era un lavoratore di carattere buonissimo. E perfino la Scuola Criminale tanto avversa agli anarchici si vide obbligata a riconoscere ed affermare che il giovane panettiere era un onesto nato.
[…]
Caserio andava, ne' pochi momenti di ozio, a distribuire fra gli operai vicino alla Camera del Lavoro opuscoli
e fogli di letteratura anarchica, insieme a pagnottine di pane, che comperava coi suoi risparmi nella panetteria dove lavorava, «perchè, – diceva, – sarebbe stato un insulto dare a persone dimagrate dalla fame carta stampata, senz'altro con cui saziare lo stomaco prima di leggere; e perchè in tal modo eran capaci di capire un po' meglio ciò che leggevano».
Quando la polizia si accorse che Sante era un entusiasta propagandista, benchè fosse timido e modesto all'estremo nel suo modo di propaganda, cominciò a perseguitarlo.
[…]
La verità è che Sante, per quante volte fosse colpito dalle persecuzioni e dall'ingiustizia, non perdè mai neppure per un istante la sua paziente serenità. Sollevavano invece la sua indignazione le ingiustizie che vedeva commettere contro gli altri, come se fossero offese mortali fatte a lui stesso.
[…]
L'ultima volta che vidi Caserio fu alla Corte d'Appello di Milano, dove si faceva un processo contro di lui ed altri, per distribuzione di un manifesto antimilitarista fra i soldati. Per ciò fu condannato a undici mesi di carcere; e nella difesa ch'io ne feci innanzi alla Corte, cercai dimostrare ai magistrati che non è con condanne e altri castighi della stessa specie che si può fiaccare una idea, ma che al contrario così si rendeva più aspra la lotta dei principii; e conclusi dicendo che se si fosse confermata la sentenza, ciò poteva gettare nel cuore tenero e mansueto del giovane Sante il malseme del rancore e dell'odio, riuscendo in tal modo a fare di lui uno dei più terribili vendicatori, poichè terribili e sanguinose sono sempre le vendette del pensiero oppresso.
I giudici confermarono la condanna, e Caserio che godeva della libertà provvisoria, preferì mille volte i disagi dell'esilio all'amara e mostruosa vita del prigioniero.
[…]
Con tutte le formalità richieste, senza nulla obliare del divertente programma, si sono uccisi uomini che avevano sofferto quanto e più di quel che soffrì Vaillant, che non uccise nessuno e non ne aveva neppur l'intenzione; uomini che commisero i loro atti, guidati non da un desiderio di personale vendetta, ma spinti da ben altro e generoso impulso, quello di levare il grido orrendo della protesta sociale colà dove non giungono gli urli della fame, ove non si odono i gemiti e non si vedon le lacrime del popolo che soffre, sottomesso, nella massima disperazione.
Mentre tanta sete di vendetta e di sangue ispirava l'opera della borghesia, riuscendo così alla più pericolosa delle provocazioni, un giovanetto, espulso dal suo paese da una stupida e iniqua condanna, incalzato d'ogni parte delle persecuzioni della polizia, andava a piedi per la strada che va da Cette a Lione, meditabondo, pensando alle ingiustizie di cui era stato vittima e sopratutto alle altrui sofferenze. Giunto a Lione, s'imbattè in una moltitudine clamorosa e ignorante, che affogava il grido della miseria nel chiasso delle feste che si stavan celebrando in onore di un uomo che, per la menzogna costituzionale, passava come capo della nazione, ma che non era in realtà che il rappresentante della violenza della sua classe.
Quivi allora, faccia a faccia di questo semidio dell'imbecillità popolare, si levò forte e terribile l'oscuro panettiere di Motta Visconti, e nel suo pugnale riassunse la protesta suprema di tutte le miserie e le sventure umane, che eran giunte ai suoi occhi dalle immense pianure di Lombardia fino alla panetteria di Cette, ove ultimamente lavorava.
Oh! quella pugnalata venne come un fulmine!
In essa, a parte il caso tragico di un uomo che muore e d'una famiglia che piange, io vedo qualche cosa di più importante e solenne, io sento il rombo della tragedia sociale innanzi a cui la morte di quest'uomo non fu che un semplice episodio. Non poteva essere altrimenti: le vendette della ghigliottina dovevano provocare le rappresaglie della dinamite e del pugnale.
La legge ha i suoi carnefici, e il pensiero oppresso i suoi vendicatori.
Caserio cominciò col dedicarsi alla propaganda teorica, credendo fermamente che l'anarchismo fosse considerato come un partito qualsiasi, forte e rispettato. Invece si vide perseguitato per le sue idee, condannato e imprigionato.
Lavorava infaticabilmente, per riserbarsi il diritto di rimproverare ai borghesi il loro ozio, per chiamarli
parassiti, quali veramente sono. La vigliacca petulanza poliziesca lo cacciò di dove lavorava; ed egli si convinse ancor più che i potenti ed i ricchi sperano tutto dalla sommissione e dalla pazienza del popolo, cui premiano impudentemente raddoppiando contro di lui l'opera di spogliazione e di violenza.
Sentì i sostenitori della legge parlare del rispetto alla vita umana; ma sentì anche il grido dei nemici di tutte le leggi dall'alto del patibolo, e vide le teste mutilate di questi mostrate al pubblico dal carnefice, – sempre in nome di quel rispetto alla vita tanto decantato.
Ecco come e perchè tutto il grande amore che Caserio sentiva per l'umanità oppressa, si convertì in odio contro i tiranni della terra. E il suo odio dovette essere intenso, poichè nessuno può odiar molto se molto non ha amato. Egli non aveva alcun risentimento personale contro Sadi Carnot; ma Carnot era il rappresentante politico della borghesia francese, per conto della quale aveva firmato il decreto di morte dei ghigliottinati di Parigi. Il grido tragico di «Coraggio, compagni! Viva l'Anarchia!», che si trasmisero l'un l'altro dal palco del supplizio quei cavalieri della morte, sembrò contenere tutto il ruggito della tormenta di odio, fatto sempre più intenso non dalla parola degli agitatori anarchici, bensì dalle provocazioni sanguinose della borghesia: le ingiustizie commesse e gettate come una sfida alla miseria e alla fame.
Sante Caserio sentì questa voce de' suoi compagni; e senz'altro sperare corse verso la ghigliottina. Il povero fornaio sapeva bene che nel triste giuoco avrebbe certo perduta la vita, lasciata la testa; ma già non era più spinto dalla sua volontà, la tanto discussa libera volontà dell'uomo, che non è se non una mera illusione del nostro intelletto.
[…]
Io sono anarchico perchè adoro la libertà, e con la libertà la vita, l'amore, il più grande sentimento umano. Credo che un giorno debba giungere, in cui gli uomini si meraviglieranno al ricordo dei nostri crudeli combattimenti e del modo come ci opprimiamo l'un l'altro, – così come oggi noi ci meravigliamo quando leggiamo delle lotte fra i cannibali.
Sembrerà un'orribile favola, fra gli uomini nuovi, il sapere che dei pseudo-scienzati abbiano tagliuzzato sulla tavola anatomica il cervello di Emilio Henry, e ciò solo perchè i borghesi potessero rimettersi dall'impressione avuta nel vedere l'intrepidezza con cui questo giovane salì il patibolo facendo loro credere nientemeno che la contrazione dei muscoli già rigidi significasse che Henry era morto di paura.
Ed apparirà ancora più infame e incredibile che i magistrati, più creduli del carnefice, facessero spiare nel carcere l'espressione del viso di Caserio nel momento in cui, all'improvviso, la mattina dell'esecuzione, gli si lesse la conferma della sentenza di morte; e che, al leggero tremito della voce e una lacrima che cadde dai suoi occhi, abbian voluto scoprire nel giovane un segno di debolezza.
Ma anche se fosse com'essi dicono, e probabilmente è il contrario, – quegli snaturati non avevano cuore da capire che quella lacrima e quel tremito potevano essere, perchè Sante pensava al momento in cui la madre avrebbe letto, laggiù nel villaggio natìo, che suo figlio era morto.
Eppoi, anche ammettendo che causa ne fosse l'ultima lotta della ragione contro l'istinto, che tende con tutte le forze a la vita, chi potrebbe lo stesso dubitare del coraggio di questo giovanetto così nobilmente sacrificatosi nel fior dell'età?
[…]
Però con la maggiore serenità Sante Caserio diresse lo sguardo, – oh, quello sguardo! – alla moltitudine imprecante, nell'atto stesso che posò il collo nella lunetta della ghigliottina.
Il grido di battaglia: «Coraggio, compagni! Viva l'Anarchia!» gli fu mozzato in gola dalla lama affilata e diaccia che separò la testa dal corpo.
Nonostante, la moltitudine proseguì a urlare, mentre gli occhi dell'insanguinato capo del martire, vivi ancora, parevano guardare fissamente l'incorruttibile avvenire.
Perciò, soltanto l'avvenire sarà capace di rendere giustizia alla sua memoria.


Link di approfondimento:

In difesa di Sante Caserio (download pdf)

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